L’autismo comincia con un qualcosa che non funziona in un’area del cervello – il sistema staminale cerebrale, per esempio? – e poi si allarga all’esterno irradiandosi? O è un problema più vasto che inizia più marcatamente quando il cervello è chiamato a svilupparsi e ad utilizzare circuiti più complessi? Ogni scenario è plausibile, e gli esperti non sono in accordo su cosa sia più probabile. Ma una cosa è certa: già molto precocemente il cervello dei bambini autistici appare anatomicamente diverso dalla norma, sia macro, che microscopicamente.
Per esempio, la dottoressa Margaret Bauman, un neurologo-pediatra alla Scuola Medica di Harvard, esaminando tessuti cerebrali postmortem, di quasi 30 soggetti autistici morti ad un’età compresa tra i cinque e i settantaquattro anni, evidenziò tra le altre cose, anormalità nel sistema limbico, in un’area che include l’amigdala (il centro del cervello emotivo primitivo) e l’ippocampo (la struttura simile per forma ad un cavalluccio marino che risulta critica per la memoria). Le cellule del sistema limbico dei soggetti autistici, come dimostrato dal lavoro di Bauman, sono tipicamente piccole e sottilmente impachettate assieme, e se comparate alle cellule corrispondenti di soggetti normali, esse appaiono insolitamente immature, commenta lo psichiatra, Dr. Edwin Cook, dell’università di Chicago, “Come se aspettassero un segnale per crescere”. Un’anormalità intrigante è stata anche evidenziata nel cervelletto di autistici adulti e bambini. Una classe importante di cellule, conosciute come cellule di Purkinje (dopo che furono scoperte dal fisiologo Czech) sono molto ridotte numericamente. E questo, crede il neuroscienziato Eric Courchesne, dell’università della California, a San Diego, offre un elemento critico su ciò che non funziona nell’autismo. Il cervelletto, egli fa notare, è uno dei più affollati centri di computo cerebrale, e le cellule di Purkinje sono gli elementi critici del sistema di integrazione dei dati. Senza queste cellule, il cervelletto è incapace di fare il suo lavoro, che è quello di ricevere torrenti di informazioni dal e sul mondo esterno, incapace di computare i significati di queste informazioni e di preparare altre aree cerebrali a rispondere ad esse in modo appropriato.
Alcuni mesi fa, Courchesne rivelò i risultati ottenuti da studi con immagini cerebrali che gli permisero di formulare una nuova e provocatoria ipotesi. Alla nascita, egli fa notare, il cervello di un bambino autistico è di dimensioni normali. Ma con l’andare del tempo a due, tre anni, questi bambini presentano un cervello più voluminoso del normale. Questo accrescimento anormale non è uniformemente distribuito. Usando la tecnologia della MRI-imaging, Courchesne e i suoi colleghi furono capaci di identificare due tipi di tessuto dove questo aumento di crescita è più pronunciato. Questi sono i neuroni-stratificati della materia grigia della corteccia cerebrale e della materia bianca sottostante, che contengono le proiezioni di connessione fibrosa, per e dalla corteccia, e altre aree del cervello, incluso il cervelletto. Forse, specula Courchesne, è il sovraccarico del segnale causato da questa proliferazione di connessioni che danneggia le cellule di Purkinje e alla fine le uccide. “Così ora”, afferma, “una domanda molto interessante sarà: cosa guida la crescita anormale del cervello? Se potessimo comprenderlo saremmo in grado di rallentarla o fermarla”.
Una proliferazione di connessioni tra billioni di neuroni avviene in ogni bambino, naturalmente. Un cervello di bambino, a differenza di un computer, non viene nel mondo con i suoi circuiti fissi installati. Egli deve attivare i suoi circuiti in risposta a sequenze di esperienze e poi connetterli saldamente attraverso ripetute attività neurologiche. Così se Courchesne avesse ragione, cosa ci impedirebbe di considerare l’autismo un processo, altrimenti normale, che si accende troppo presto, o troppo fortemente, e si spegne troppo tardi – e che questo processo potrebbe essere controllato da geni. Attualmente, Courchesne e suoi colleghi, stanno osservando con attenzione specifici geni che controllano quattro geni che appaiono essere coinvolti. Di particolare interesse i geni che codificano quattro diversi regolatori della crescita del cervello, che si repertano precocissimamente in soggetti che sviluppano ritardo mentale o autismo. In relazione a questi elementi, come hanno riferito l’anno scorso la dottoressa Karin Nelson e suoi colleghi dell’Istituto Nazionale di Ricerca e Salute, esiste una potente molecola conosciuta come “peptide vasoattivo intestinale (vip)”, che giocherebbe un ruolo non solo nello sviluppo del cervello ma anche in quello del sistema immunitario e del tratto gastrointestinale, una spiegazione del perché molti altri disturbi che accompagnano l’autismo non siano pure coincidenze.
L’idea che ci sarebbero precoci biomarkers per l’autismo ha affascinato molti ricercatori, e la ragione è semplice. Se uno potesse identificare gli infanti ad alto rischio, sarebbe poi possibile monitorare i cambiamenti neurologici e presagire la comparsa dei sintomi, e forse un giorno intervenire nel processo. “Proprio ora”, dice Michael Merzenich, un neuroscienziato dell’università di California, San Francisco, “ stiamo studiando l’autismo dopo che si verifica la catastrofe, e vediamo in questi bambini una confusione di cose che non riescono a fare. Ciò che ci servirebbe sapere è come tutto questo succede”. I geni che regolano la condizione del disordine autistico potrebbero essere responsabili del deragliamento dello sviluppo del cervello in tanti modi. Essi potrebbero codificare mutazioni dannose di singoli geni – per es. la fibrosi cistica o la malattia di Huntington. Esse potrebbero, alla stessa maniera, costituire una serie complessa di varianti di geni normali che combinano guai solo se combinati con altri geni. Oppure potrebbero essere geni che determinano vulnerabilità ad ogni tipo di stress incontrato dal bambino.
Una teoria popolare ma ancor oggi non dimostrata è quella della responsabilità per l’autismo delle vaccinazioni MMR (morbillo, orecchioni e rosolia), vaccini tipicamente somministrati al bambino intorno ai 15 mesi. Ma vi sono molti altri chiacchierati imputati. I ricercatori alla Davis, università della California, hanno appena dato avvio ad uno studio epidemiologico che vuole testare la presenza di residui, nei tessuti di bambini autistici e non, di mercurio, ma non solo, anche pcbs, benzene e altri metalli pesanti. La premessa sta nel fatto che alcuni bambini possono risultare geneticamente più suscettibili di altri al danno esercitato da questi agenti, e così lo studio può anche misurare un certo numero di altre variabili genetiche, come la capacità di questi bambini di metabolizzare il colesterolo e altri lipidi.
I farmaci assunti da donne in gravidanza sono anche sotto attenta osservazione. All’università di Rochester, l’embriologa Patricia Rodier e suoi colleghi, stanno esplorando come taluni teratogeni (sostanze che causano difetti alla nascita) possano essere responsabili di autismo.
Questi ricercatori stanno mettendo a fuoco l’impatto di teratogeni su un gene chiamato hoxa1, il quale si suppone intervenga nel primo trimestre di gravidanza per poi restare silente. Nell’embrione di topo esiste l’equivalente di questo gene ed è stato individuato come responsabile dello sviluppo delle cellule staminali del cervello e che un intero strato di queste cellule risulta assente.
Alla fine, non solo è possibile ma utile che gli scienziati scoprano più vie – alcune rare, alcune comuni; alcune puramente genetiche, altre no – che evidenzino punti fermi. E quando lo fanno nuove idee per prevenire o correggere l’autismo possono rapidamente materializzarsi. Una decade da ora, si saprà quasi certamente quali nuove terapie preferire e forse persino farmaci per l’autismo. “Geni”, come osserva Cook dell’università di Chicago,”dateci il gene obiettivo e non costruiremo i farmaci specifici”.
Paradossalmente, l’unica cosa che è terribile relativamente all’autismo – che colpisce i più piccoli – ci suggerisce anche speranze. Prima che nel cervello dei bambini, attraverso le esperienze, si stabiliscano le connessioni fra le cellule cerebrali, particolari esercizi, con precisi obiettivi, da far eseguire a questi pazienti, potrebbero fare la differenza.
Uno dei più importanti quesiti (che hanno già una risposta) infatti, è perché il 25 % dei bambini con simili quadri di autismo completo, beneficiano enormemente delle terapie che prevedono compiti sociali e di verbalizzazione – e perché l’altro 75% no?
“È perché, il cervello di questi ultimi è irreversibilmente danneggiato”, si chiede Geraldine Dowson, direttore del Centro Autismo dell’università di Washinton, “oppure, e questo è fondamentale a ben vedere, è piuttosto perché questo 75% di bambini non è stato adeguatamente indirizzato?”
La maggioranza degli scienziati si pone queste domande anche per riordinare i pezzi del puzzle che risulta scomposto in Tommy Barrett come nei suoi giocattoli transformer.
Metti i pezzi giusti assieme in un modo e avrai un bambino normale. Metti i pezzi assieme in un altro e avrai un bambino con autismo. E così come le dita di Tommy scompongono un treno e lo trasformano in un robot e viceversa bisognerebbe poter scomporre il pensiero.
Potrebbe essere che alcuni giochi di abilità risultino realizzabili anche da un cervello profondamente autistico secondo una rotta di ritorno. Potrebbe essere che alcuni bambini che sono ipnotizzati in un processo di trasformazione possano maturare in scienziati che comprendono il trucco.
Rapporto di Amy Bonesteel /Atlanta.