Una nuova cura per l’epatite C

Data: 01/04/01

Rivista: aprile 2001

Con più di 170 milioni di persone infettate al mondo, con oltre 2 milioni in Italia, il 2-3% della popolazione, l’epatite C è una scommessa da vincere per la sanità. L’epatite C è una malattia inesorabile secondo il professore Giovanni Gasbarrini del Policlinico Gemelli di Roma: il 70% dei pazienti ineffetti va incontro ad un’epatite cronica e di questi il 90% se non curato va in cirrosi epatica e conseguentemente epatocarcinoma.

Il virus cangiante

Il virus HCV responsabile dell’epatite C è tanto diffuso quanto difficile da fermare data la sua incredibile capacità di trasformazione continua che disorienta, rendendo inefficace il sistema immunitario. Eliminare il virus è impossibile e le cure definitive sono lontane. L’epatite C è molto variabile da persona a persona, la storia della malattia è diversa a seconda delle caratteristiche del virus (e dei suoi genotipi che sono sulla decina) e da cui ne deriva la sua capacità di sfuggire alle difese immunitarie, velocità di moltiplicazione. Seguono poi le caratteristiche della persona: età, condizioni di salute, uso di alcol, malattie concomitanti. L’epatite C che colpisce esclusivamente il fegato è una malattia “asintomatica” che rimane silenziosa anche per decenni manifestandosi quando già l’organo è compromesso.

Il modo di trasmissione più infettivo di questo virus è attraverso sangue:

  • puntura con aghi infetti: personale sanitario, tossicodipendenti, uso farmaci, droghe per via endovenosa con materiale non sterile;
  • convivenza in istituti;
  • cure odontoiatriche;
  • infezioni perinatali da madri infette;
  • rapporti sessuali (rischio relativo).

Le terapie attuali

I primi risultati delle nuove combinazioni terapeutiche basate su interferone, amantadina e ribavirina, la triplice terapia vengono presentati ora ma saranno necessari ancora due anni per un bilancio definitivo. Ma la notizia più interessante è di qualche settimana fa e ha come protagonista un particolare tipo di interferone: il Pegilato detto PEG IFN. Questo interferone è ottenuto coniugando interferone alfa 2B ricombinante con il polimero sintetico inerte PEG. Questo ha il vantaggio di essere somministrato solo una volta alla settimana contro i giorni alterni dell’interferone classico. Ciò favorisce una minore dipendenza psicologica dalla medicina e riduce anche gli effetti collaterali quali febbre, debolezza e dolori muscolari.


Va dove ti porta il fegato

Il fegato è un organo per cui generalmente non proviamo molta stima. A cuore, stomaco, polmoni guardiamo con attenzione e ammirazione. Il fegato invece lo trascuriamo: eppure è una macchina che ci rende un gran numero di servizi difficili ed onerosi. Cito il vocabolario Treccani: produce la bile, determina importanti modificazioni metaboliche intervenendo nel metabolismo dei grassi degli zuccheri delle proteine e del ricambio di molti ormoni, sintetizza alcune delle proteine del plasma sanguigno tra cui il fibrinogeno e la protambina svolge inoltre un’importante attività disintossicante.

Menzionati i meriti presenti del fegato resta il suo passato che è glorioso. Oltre a venire scrutato da aruspici con particolare attenzione, e fin dai tempi della Mesopotamia, gli antichi greci lo ritenevano la sede dei sentimenti. Prometeo ha osato sfidare gli dei? Ecco un’aquila che gli roderà il fegato condannato a ricrescere in eterno. Oggi di questo passato non resta molto; diciamo che la nostra memoria culturale ha conservato due soli reperti dell’immagine storica e leggendaria del fegato: un vizio e una virtù. La virtù è il coraggio: chi ha fegato, fegato da vendere, è un campione di coraggio. È un significato molto diffuso a cui siamo abituati da sempre. Però a voler ben vedere, è anche un significato strano perché mette il fegato in rapporto al coraggio, e casomai il coraggio deve etimologicamente il suo nome al cuore. Si può dire che il cuore di un coraggioso è diverso dal cuore di un codardo: non palpita, non va in gola, non fa tuffi; né il cuore né il suo titolare si lasciano impaurire. Da qui vengono espressioni come “cuor di leone”. Difficile intuire, invece, cosa faccia di speciale il fegato di un coraggioso rispetto al fegato di un codardo. Allora legare il coraggio alla circolazione del sangue parrà sensato. Non altrettanto sensato sarà trovare un nesso con la buona digestione. Stiamo forse scoprendo che il fegato ha sempre usurpato la virtù cardiaca del coraggio.

Il vizio. In quanto al vizio di dubbi non ce ne sono, facile indovinare che si tratta dell’unico fra i sette peccati capitali a cui talvolta indulge persino Domineddio: l’ira. “Farsi scoppiare il fegato”, “mangiarsi, rodersi il fegato” sono espressioni che si riferiscono all’ira a cui andranno aggiunte tutte quelle che menzionano la bile ovvero il fiele, e sono tante. Nel caso del fegato degli iracondi, però, la faccenda è del tutto giustificabile. Sul piano storico già Ippocrate riteneva che la bile fosse l’umore della collera; sul piano fisiologico la produzione di bile è davvero connessa alla sfera emotiva.

“Verdi di rabbia”, lividi e gialli lo si diventa davvero, non è solo un’arcaica credenza; o perlomeno i greci non avevano tutti i torti a pensare al fegato come ad un organo sentimentale per eccellenza. La sfortuna del fegato è stata che proprio sul terreno dei sentimenti è stato sfidato e surclassato. Il cuore ha portato dalla sua parte il coraggio, l’amore, ogni passione, la bontà. Nella città dei sentimenti il cuore è il sindaco indiscusso non gli si comanda in nessun caso; al fegato è rimasto solo il coraggio (ma il cuore prevale) e l’ira, dubbio privilegio.

Se uno oggi dicesse “va dove ti porta il fegato” starebbe certamente scherzando. Il fegato si è insomma trasformato da organo sentimentale in organo da parodia. Se volete, potete fare la prova con molte espressioni che riguardano il cuore, tanto sono alte enfatiche le frasi originali, quanto sono basse e di stupidità sconcertante quelle risultanti: “fegato contento il ciel l’aiuta”, “ti parlo con il fegato in mano”, “il fegato è uno zingaro che va”, “due fegati e una capanna”. Questa nuova vocazione del fegato, secondo me, è legata al fenomeno per cui il cuore fa pensare all’amore, mentre il fegato fa pensare a quelle interiora e frattaglie che in tempi di mucca pazza nessuno vuole nel suo piatto. Non importa che l’insieme di quelle frattaglie si chiami coratella, e che tale nome discenda dal cuore. Ai fini dell’immagine è il cuore che batte nel petto, è il fegato che cade nel piatto. Il cuore ha un’altissima dignità nel nome: come le famiglie di nobiltà antica, viene direttamente da un’apposita radice indoeuropea, germogliata nella notte linguistica dei tempi. Il rustico fegato, invece, ci arriva tramite passaggi tortuosi da sykotòn che in greco significa ingrassato con i fichi: l’oca e il maiale venivano ingozzati da fichi finché il loro fegato diventava grosso e molto saporito. Così il fegato deve il suo nome a pratiche leggermente perverse, da ghiottoni. Se il cuore sta tra Romeo e Giulietta il fegato sta tra Gargantua e Pantagruele.

EpaC S.I.T.I. è il servizio telefonico interattivo studiato appositamente per fornire informazioni generali sull’epatite C.

Sono disponibili informazioni che consentono di apprendere che cosa è l’epatite C, come fare per accertare se si ha contratto il virus, dove eventualmente rivolgersi per curarsi, e le indicazioni per approfondire l’argomento senza dover cercare troppo a lungo informazioni difficilmente reperibili.

Tel. 039 685 3000

Oppure visita il sito: www.epac.it

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