Secondo una recente statistica nazionale il Trentino si colloca al secondo posto per quanto riguarda la vita media sia della popolazione maschile che femminile. Sarà merito dell’aria buona o del vino che consumiamo in gran quantità! Difficile a dirsi, fatto sta che nella nostra regione gli anziani riescono a mettere qualche ruga in più.
I numeri parlano chiaro: il 18,1% della popolazione trentina supera i 65 anni di età.
Ma dove vivono queste persone anziane? C’è chi abita con il coniuge, chi con figli e nipoti, chi abita da solo. E c’è chi vive in casa di riposo per una vasta serie di motivi, non ultimo la propria non autosufficienza.
Per approfondire quest’ultima situazione, siamo andati a parlare con il direttore generale della SPES (Servizi Pastorali Educativi Sociali) Italo Monfredini. SPES Trento è una cooperativa sociale cui fanno capo ben quattro RSA dislocate tra la città e le vicinanze per un totale di circa 260 ospiti. Dottor Monfredini possiamo parlare di un ospite-tipo nelle vostre strutture? “Sì, il nostro ospite-tipo ha sui 90 anni, non è autosufficiente e spesso è affetto da gravi malattie senili e demenze quali il morbo di Alzheimer. Sappiamo di non poter fare miracoli ed è per questo che lavoriamo sulle potenzialità residuali di ogni ospite”.
Può fare un esempio? “La Residenza di Via Veneto dispone di un ampio giardino studiato in modo da sopperire ai problemi di orientamento degli anziani con Alzheimer (piante aromatiche per stimolare l’olfatto, composizioni floreali diversificate per stimolare la mobilità e l’orientamento). Inoltre il nostro servizio di animazione riveste un ruolo centrale nello stimolare le potenzialità dell’anziano”.
Che tipo di animazione è prevista nelle vostre strutture? “Il nostro servizio di animazione sociale è essenzialmente di due tipi: ludico-ricreativo (giochi, gite, feste) e di riattivazione psico-sociale (ginnastica di gruppo, terapia occupazionale, attività di sviluppo cognitivo). Scopo dell’animazione è incrementare la partecipazione ai momenti di socializzazione, di stimolare il residente ad attivarsi autonomamente e di ritardarne il decadimento psico-fisico”.
Nelle vostre residenze esistono casi di anziani abbandonati dalle proprie famiglie? “Come dicevo prima abbiamo una grande percentuale di malati di Alzheimer. Chi è affetto da questa malattia allo stadio avanzato spesso non riconosce neppure i propri figli. È difficile essere considerato un estraneo dalla propria madre. Forse per questo può succedere che i figli vadano molto di rado per non dire mai a trovare i genitori in queste condizioni”.
A questo punto, per capirne di più sulla situazione reale degli anziani che vivono in una casa di riposo, non ci resta che “andare da loro”.
La più vasta e forse rinomata delle case di riposo gestite dalla Spes Trento è Villa Belfonte (76 posti letto) nei pressi de la Grotta di Villazzano. Sarà il grande parco che la circonda o il bel panorama ma quando arrivo mi sembra di essere in una località turistica.
A fare gli onori di casa ci pensa il direttore Antonio Stenech che mi riassume brevemente l’organizzazione interna della residenza. “I servizi garantiti ai nostri ospiti sono di 5 tipi: medico, infermieristico, assistenziale, di riabilitazione e di animazione sociale. I diversi tipi di servizi sono integrati da un responsabile tecnico assistenziale (un infermiere, ndr) che svolge il ruolo di coordinatore e di referente delle diverse attività. L’organico totale di Villa Belfonte conta una ottantina di persone; in più ci avvaliamo di varie ditte esterne come ad esempio nel caso del servizio mensa o del servizio di pulizia”. L’età media degli ospiti è di 85 anni e ben il 90% è di sesso femminile. Secondo Stenech questo dato può testimoniare la miglior attitudine delle mogli ad assistere i mariti anziani e malati. A questo va aggiunta la comprovata longevità delle donne rispetto agli uomini. Proprio di recente una ospite ha compiuto 103 anni.
Francesca, un’animatrice mi accompagna a visitare il centro e a scoprire i suoi ospiti. Al piano superiore è in corso una lezione di pittura tenuta da una volontaria. Le pittrici sono concentratissime sui loro lavori e non hanno tutti i torti: più avanti si terrà una mostra con i loro quadri. A tal proposito lungo i corridoi sono appesi molti lavori fatti dagli stessi ospiti. Alcuni li ha dipinti Berto, un signore con cui ho scambiato quattro chiacchiere (vedi riquadro in basso).
Anche alla luce delle recenti polemiche sollevate dalla sindacalista Claudia Marzari sulla qualità di vita degli anziani in casa di riposo, il quadro emerso dalla visita di Villa Belfonte sembra piuttosto confortante. Qui l’animazione è considerato un servizio basilare tanto che è prevista ogni giorno.
Come dice Stenech, ormai “la casa di riposo non è più quella struttura buia che siamo tutti abituati a immaginare”.
Che si tratti di settore privato conta poco o niente, dato che le rette per gli ospiti sono simili a quelle di qualsiasi altra casa di riposo pubblica. Questo non vuol dire che l’ospite abbia una vita idilliaca. Si segue in ogni caso una tabella di marcia, una metodicità per cui i servizi sono considerati in termini quantitativi (in minuti medi di assistenza ecc.). E poi anche qui non mancano i problemi interni, come ad esempio la carenza di personale formato e di volontari.
La posizione un po’ fuori mano non facilita certo quel volontariato di paese che può esserci in una casa di riposo più centrale. A questo va aggiunto il retroterra culturale che vede Villa Belfonte come la casa dei siori e, quindi, come una realtà privilegiata in cui il volontariato sembra avere poco senso.
Problemi a parte, va detto che la realtà trentina è la solita isola felice. I finanziamenti provinciali per le case di riposo non scarseggiano (circa 80 milioni di euro l’anno per 4.300 posti letto). Bisogna vedere poi fino a che punto si possa garantire la qualità globale della vita di un individuo.
Se oltre alla salute mancano gli affetti e se ne ha la consapevolezza, non si vive bene tanto in una super-attrezzata villa di riposo quanto in un ospizio vecchia maniera. In fondo, tanta animazione e servizi ineccepibili per quanto importanti non sono comunque in grado di colmare il vuoto affettivo di un anziano la cui famiglia è venuta a mancare.
Destinatari
I destinatari delle RSA sono persone non autosufficienti o con gravi disabilità che presentano un elevato grado di dipendenza e che necessitano di essere assistite e sostenute nelle funzioni elementari della vita e/o abbisognano di prestazioni socio-assistenziali e sanitarie continuative secondo piani e programmi definiti in intensità e durata.
A chi rivolgersi
Per l’accesso alle RSA è necessario inoltrare richiesta di attivazione dell’UVM (Unità Valutativa Multidisciplinare). L’UVM può essere attivata, con il consenso informato della persona interessata o dei suoi familiari:
Se la valutazione da parte dell’UVM viene richiesta direttamente dalla persona interessata o dai suoi familiari, la domanda deve essere valutata preventivamente dai servizi socio-assistenziali o sanitari di territorio, ovvero dal medico di medicina generale della persona.
Indirizzo della UVM del distretto di Trento e Valle dei Laghi: c/o Servizio Cure Domiciliari, Corso 3 Novembre n. 36, 38100 Trento, telefono 0461.902484.
Le quattro residenze S.P.E.S.
Le Residenze sanitarie assistenziali della cooperativa S.P.E.S. Trento sono destinate principalmente a persone non-autosufficienti. Sono quattro: Casa Famiglia in Via Borsieri a Trento, Villa Belfonte a Villazzano, Villa Alpina a Montagnaga di Pinè e Residenza Via Veneto. Inoltre la S.P.E.S. si occupa del coordinamento socio-sanitario della R.S.A. ospedaliera di Tione.
“Dopo l’ictus che mi ha colpita 9 anni fa ho creduto che la vita fosse finita”. Annamaria è una ex maestra elementare di 65 anni.
Parla lentamente e con voce strozzata. Faccio un po’ fatica a capire quello che dice ma con un piccolo sforzo di concentrazione riesco a seguirla. Lei invece per parlare con la sua voce ha dovuto fare sforzi inimmaginabili. Risvegliata dal coma ha passato molto tempo a comunicare con lo sguardo, con la testa, indicando le lettere dell’alfabeto su un foglio. Ora Annamaria scrive racconti e dipinge quadri. Non solo, frequenta tre volte a settimana l’Università della terza età dove segue corsi di filosofia e disegno. Se questo non è recupero… Tra le varie cose Annamaria ha scritto la storia della sua vicenda personale da poco prima dell’ictus che l’ha colpita nell’agosto ’95 al suo arrivo a Villa Belfonte nel ’99: “Da dove cominciare? Non lo so, perché la terribile emorragia che mi ha colpita la notte fra il 15 e il 16 agosto 1995 era stata preceduta da migliaia di segnali premonitori”. Con estrema lucidità Annamaria compie una auto-anamnesi, cerca nel suo passato le cause dell’ictus che l’ha colpita, i mal di testa di cui soffriva fin da bambina l’hanno portata all’assunzione quotidiana di forti analgesici con controindicazioni di vasodilatazione.
Annamaria descrive il suo faticoso cammino verso una seconda rinascita. Cammino fatto di momenti di sconforto, di medici che la credono un vegetale e momenti di rivalsa come quando durante una fisioterapia riesce a tenere sollevato un braccio da sola e tutti la applaudono. Annamaria ha la passione dei fiori. ” Si potrebbero scrivere migliaia di libri solo per descrivere le pieghe dei fiori”.
E infatti, ha scritto un racconto sul mondo floreale intitolato “Nel prato” che ha ricevuto una menzione speciale nel XX concorso letterario 50 & più. Non male per una scrittrice all’inizio della sua carriera. Quando faceva la maestra, non aveva il tempo materiale per dedicarsi alla stesura di racconti o per dipingere. Ora, come scrive nella sua autobiografia: “Lavoro con gioia, non ho lamentele, sono serena molto più di prima quando mi lasciavo travolgere dalla frenesia del nostro tempo che riesce solo a togliere la tranquillità”. La sua vita non è certo finita, ha solo voltato pagina.