Si era tenuta lo scorso dicembre a Roma, ad organizzazione del ministero degli Affari Sociali, la “Prima Conferenza Nazionale sulle Politiche per l’Handicap”.
Ben 3.000 i partecipanti accolti da autorità dello Stato e dai rappresentanti delle organizzazioni operanti nel campo della disabilità. Obiettivo ben sbandierato della conferenza: combattere la condizione di dipendenza e di emarginazione sociale e professionale provocata da una serie di barriere, dalla mobilità, alla comunicazione, alla formazione.
I convenuti, rappresentanti di partiti, sindacati, associazioni, istituzioni, enti e comunità avevano istituito una serie di gruppi di lavoro, sette, con lo scopo di esaminare gli aspetti familiari, sociali ed economici dei disabili.
Ogni gruppo aveva prima avanzato singolarmente le sue proposte e tutti assieme, in conclusione dei lavori, avevano sollecitato un piano d’azione nazionale cui delegare il coordinamento delle iniziative concordate.
Iniziative non nuove ben s’intende ma, si assicurava, d’ora in poi non più “portate avanti in modo frammentato da singoli cittadini o da piccoli gruppi isolati”. Ecco un piccolo sunto delle proposte e dei propositi di lavoro:
Encomiabili intenzioni ma, oggi sei mesi dopo, cosa resta della conferenza?
Della lunga scia di politici restano le solite grandi declamazioni di principio, le scontate ammissione di ritardi, gli immancabili propositi di far meglio per il futuro ecc..
Qualcuno osava forse aspettarsi di più da gente che si era presentata alla conferenza senza nemmeno dati certi sul numero reale dei disabili italiani: per il ministro della Solidarietà Sociale sono 2.623.000, per l’ISTAT 3.400.000, per altri sfiorano i 5 milioni!!
Certo, un congresso è meglio di niente e, in fin dei conti, si è discusso di disabilità ma… ma intanto il disabile continua a restare sempre in mezzo al guado tra il puro assistenzialismo e integrazione, obiettivo quest’ultimo ben lontano dall’essere realizzato.
Gianni Selleri, relatore alla conferenza, aveva riassunto in uno slogan “diritto all’uguaglianza e diritto alla diversità” ossia aveva indicato una prospettiva futura molto concreta per i disabili.
Grande consenso e applausi ma poi, nei fatti, il vuoto: la ministra Turco ha visto volar via la sua poltrona nell’ultima crisi di governo, il primo ministro Amato annuncia che “non è ancora il momento di allentare i cordoni della borsa, l’avviamento al lavoro soffre ancora di incertezze normative”.
Certo non è semplice promuovere cambiamenti di fondo perché molte difficoltà del disabile sono ineliminabili ma in una società di tutti, in cui ad ognuno spetta per dettato costituzionale dare quanto è nelle sue potenzialità, il disabile va messo nei fatti, e non nelle conferenze, in condizione di esprimersi al meglio.
Concludendo, a tutt’oggi il messaggio lanciato a Roma con la grande parata di ministri, sottosegretari, rappresentanti di partiti, sindacati e associazioni accompagnati da ridondanti declamazioni di principio si è dimostrato nient’altro che chiacchiere già sentite, ri-sentite, ri-ri-sentite, ri-ri-ri-sentite… che purtroppo risentiremo, ri-risentiremo, ri-ri-risentiremo!