Il 16 giugno 2022 Federico Carboni ha deciso, come si usa dire, di fermare il mondo per scendere: in un incidente aveva riportato la frattura del collo con tetraplegia e la vita da ormai dodici anni gli gravava addosso come un insulto.
Noi di PRODIGIO non ce la sentimmo di parlarne a spron battuto come coinvolti in prima persona nella vicenda, ma avevamo pensato di lasciar ‘sbollire’ la cosa per alcuni mesi per poi parlarne qui.
Certo che una tetraplegia o tetraparesi è una delle evenienze più orribili da metter in conto nello svolgersi della vita. Alcuni la vivono come un colpo di malasorte e tirano avanti e altri, nelle stesse condizioni personali, fisiche si arrendono quasi subito. Bastano pochi istanti per passare da protagonista a peso sociale, da re della propria vita a sguattero della stessa: si spazia da Frank Williams e Michele Audisio, persone creative, responsabili di attività industriali con decine di dipendenti a Primo che si rifugia nella malattia mentale, da Giordano imprenditore di successo lasciatosi morire di apatia fino a Ramon e Daniele che usa la carrozzina appena ricevuta dall’Asl per buttarsi nel lago. Le differenze di carattere e contesto contano, ma di fronte ad una decisone senza repliche possibili, non si può che chinare il capo.
Il fatto è che cresciamo in una visione dannunziana della vita come piacere, come esibizione e piacere e, se non è tale, non ne vale la pena. È come vivere in un’atmosfera permanente da sabato nel villaggio mentre è sempre domenica sera, sudarsi la giornata, tetraplegia da frattura, emorragia o infezione compresa.
È andata così per Federico: condizione personale, contesto e relazioni interpersonali pessime. Ha deciso lui per se stesso, se e quando fosse arrivato il momento di separarsi dal dolore e sofferenza di una vita impalpabile e indesiderabile.
La Suprema Corte cui si era rivolto per esser ascoltato non poteva che depenalizzare cioè render nullo il reato di “omicidio del consenziente”. Dettò però alcune regole generali: che il richiedente aiuto a morire fosse affetto da una condizione irreversibile, da sofferenze insopportabili, refrattarie a qualsiasi cura, e capace di prendere decisioni autonome. Così Federico aveva deciso di liberarsi dalla vita, ormai un fardello, senza però indicare chi dovesse prendersi carico del proprio suicidio assistito. Si è rivolto ad amici e sostenitori affinché organizzassero una raccolta fondi: alla fine è riuscito con una sedazione profonda, primo in Italia a poterlo fare legalmente e nel proprio letto.
Ma… stabilito un principio generale, qualche considerazione va fatta! Era del tutto inevitabile? Qual era la qualità della sua vita? Toccava solo a lui decidere? Quella vita lì era solo sua? È un’estrema forma di egoismo di vuole i titoli di coda? Chi lo assisteva, s’è stancato e gli ha indicato quella strada? E se ci fosse una dichiarazione di comodo? Oppure la persona non fosse in grado di esprimere una propria volontà? Suicidiamo tutti quelli che lo richiedono? Arriveremo a renderlo obbligatorio? Ne consegue che, rispettato il diritto di ognuno di decidere, qualche limite bisogna metterlo altrimenti è solo omicidio di stato oppure un suicidio ordinato gli altri. In un esperimento fatto qualche anno fa in Inghilterra, un gruppo di persone senza alcuna autosufficienza furono messe in condizione di lasciare la vita premendo con la mano, il naso o qualsiasi altra parte del corpo un lieve pulsante: ebbene su venti che avevano inizialmente detto ‘sì’, ben diciotto non se la sentirono di fare l’ultimo passo! Non bene? Pazienza, un omi/suicidio o un ‘fai da te’ tra i 6 ogni centomila che avvengono in Italia (e dunque circa sette a Trento) sono sempre esistiti: la differenza con l’oggi è il chiedere allo Stato il permesso e poi l’aiuto di morire.
12-In Italia, troppo persone sono costrette a non poter scegliere, a tenersi la vita perché non sono affette da patologie definite “irreversibili”, oppure perché non sono al momento collegate a delle macchine di supporto vitale. Pertanto, non possono scegliere di chiedere o rifiutare questi trattamenti anche se nelle terapie intensive si usa la sedazione profonda piuttosto che l’accanimento terapeutico ad ogni costo.
Ecco perché serve subito una legge in Italia sul fine vita e sull’eutanasia, sul diritto di non accettarla oltre e a chi spettino i presupposti per accedere al procedimento. Perché il diritto di decidere liberamente per sé e per la propria vita deve valere per tutti.