Una sposa di 12 anni

Data: 01/12/14

Rivista: dicembre 2014

Thea ha 12 anni e vive nell’occidentalissima Norvegia.

Sabato 11 ottobre doveva sposare Geir di 37 anni.

Prova vestito fatta, anelli scelti, lista degli invitati copiosa: l’intero mondo del web.

Dal blog della ragazzina, infatti, è possibile seguire da vicino i preparativi delle nozze: le foto dei due innamorati si mischiano e confondono con quelle della cameretta di lei e del suo orsacchiotto emblematicamente addormentato sotto il velo da sposa.

Ciò che degli scatti colpisce più di ogni altra cosa sono gli occhi di Thea. Fissa l’obbiettivo con la consapevolezza che appena 12 anni di vita possono dare.

Viene da domandarsi cosa ne sappia mai una bambina che ha appena finito le elementari di matrimonio. Forse nulla, o forse sottovalutiamo tutto quello che Hollywood può insegnare.

“Ieri mia mamma mi ha detto che sto per sposarmi, con Geir, ed è un po’ strano perché lui è così grande, ma mamma ha detto che va benissimo”.

In Norvegia il blog diventa in pochi giorni il più seguito dell’intera nazione.

Il link rimbalza anche su Facebook e Twitter, condiviso e ricondiviso da migliaia di utenti che, indignati, invocano l’intervento delle autorità per proteggere il diritto all’infanzia di Thea.

Moltissimi gridano, attraverso le maiuscole dei commenti virtuali, che non è ammissibile che una bambina venga strappata in questo modo ai suoi giochi.

Non è giusto che rinunci ai suoi sogni, al suo futuro.

Non a 12 anni. Non per un tale insensato matrimonio.

Thea, però, non è mai esistita.

O perlomeno, non in Norvegia.

È stata inventata dall’associazione Plan per accendere i riflettori sulle 39000 ragazze minorenni che ogni giorno in qualche angolo di mondo sono costrette a sposarsi.

Senza un blog ad annunciarlo, senza dei riccioli biondi ad incorniciare occhi tristi.

Kader aveva 14 anni, solo un paio più di Thea, quando è morta di parto dando alla luce il suo secondo bambino.

In Yemen, Rawan a 8 anni è andata in sposa ad un uomo che ne aveva 40. È morta di emorragia per le lacerazioni riportate a causa di un rapporto sessuale precoce.

Perché è questo che i film americani non insegnano sul matrimonio.

Perché questo è quello che di quei matrimoni non dobbiamo dimenticare noi per primi.

Il fenomeno è estremamente capillare: secondo alcuni dati elaborati dalle Nazioni Unite nell’Africa subsahariana e in Asia meridionale una ragazza su nove si sposa prima di compiere 15 anni.

Da un lato, il problema affonda le sue radici in tradizioni e consuetudini diffuse in particolar modo in quelle società organizzate ancora intorno all’idea di clan.

Sono proprio le famiglie, infatti, che combinano unioni di convenienza per ragioni economiche o per rafforzare il prestigio e la propria posizione all’interno della comunità.

Dall’altro lato, però, la sola maschera della differenza culturale non è più sostenibile.

La povertà e lo scarsissimo livello di istruzione giocano, in realtà, un ruolo essenziale nel perpetrarsi di queste usanze.

Per combattere contro l’epidemia delle baby spose è necessario promuovere programmi di istruzione per educare i bambini e le bambine. È indispensabile sconfiggere l’analfabetismo che in quelle aree ancora dilaga.

È fondamentale promuovere, in collaborazione con i leader locali, iniziative di sensibilizzazione per le popolazioni direttamente coinvolte.

È essenziale dare effettivamente voce ai diritti contenuti nella Convenzione delle Nazioni Unite sull’infanzia e fissare a livello internazionale un’età minima legale per il matrimonio.

Lo dobbiamo fare perché una bambina norvegese di 12 anni è uguale a una bambina nigeriana. Hanno magari sogni diversi, ma quelli di entrambe meritano di avere una speranza di concretizzarsi.

L’11 ottobre, in occasione della Giornata Mondiale delle Bambine, Thea ha sfilato con il suo vestito bianco tra i banchi di una chiesa gremita.

Davanti all’altare un uomo di 37 anni l’aspettava per diventare suo marito.

Davanti al prete, alla sua famiglia e al mondo intero Thea ha detto che no, non voleva diventare moglie di quell’uomo.

Le è bastato scuotere la testa, voltare le spalle allo sposo e poi, raggiante, riattraversare la folla compatta che applaudiva il suo gesto coraggioso.

Per le Rawan e le Kader del mondo non è altrettanto facile.

Perché loro non hanno un volto, eppure sappiamo che ogni giorno si vestono di bianco e non saranno capaci di dire no.

 

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