Uno sguardo agli sviluppi del post Torreggiani

Data: 01/08/14

Rivista: agosto 2014

È ormai scaduto il termine di un anno, posto all’Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la sentenza Torreggiani, per far fronte in maniera definitiva al problema del sovraffollamento carcerario.

La vicenda inizia nel 2009 con l’accorpamento di se

tte diversi ricorsi presentati da altrettanti detenuti del carcere di Busto Arsizio e di Piacenza. Erano costretti a dividere celle da 9 m2 in tre persone, senza alcun rispetto degli standard internazionali che ne vorrebbero garantiti 7 ad ognuno, e con scarsa disponibilità dei servizi più essenziali come l’acqua calda.

La Corte EDU ha perciò deciso di considerare violato l’art.3 della Convenzione europea che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti condannando l’Italia a risarcire con poco più di 100.000 euro i sette ricorrenti.

Il crescente numero di ricorsi ha costretto però la Corte a prevedere per l’Italia un termine, scaduto il 28 maggio 2014, per porre in essere delle misure a livello strutturale che permettano di superare il gravissimo problema rappresentato dall’attuale, apparentemente insuperabile, sovraffollamento.

I posti effettivi negli istituti di pena italiani sono 43.547, quasi 5.000 in meno di quanti se ne stimavano a inizio anno, quando si calcolavano perfino aree inagibili causa mancata manutenzione o in attesa di ristrutturazione, mentre i detenuti non scendono sotto le 60.000 unità.

Migliaia di ricorsi stanno per essere riaperti, senza contare tutti quelli che si aggiungeranno; il rischio è che i tribunali, per farvi fronte, si trovino al collasso e che le tasche dello Stato vadano a svuotarsi in risarcimenti.

Quasi a sorpresa il 5 giugno si è pronunciato il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa dichiarando di aver valutato positivamente gli sforzi adottati dalle Istituzioni italiane dalla sentenza Torreggiani fino ad oggi. È stato concesso quindi un altro anno di tempo per far rientrare l’emergenza sovraffollamento, un anno per smettere di violare i diritti umani e rendere la permanenza in carcere una giusta pena e non una tortura.

 

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