Lo ammetto: parlare di scuola a luglio, con i figli che non vogliono fare i compiti delle vacanze e gli ultimi esami all’università può sembrare quanto meno un po’ azzardato. E invece no, perché, come diceva Mandela, per un Paese nulla è più importante che investire nella formazione degli adulti di domani.
Per i nostri bambini preparare la cartella e sognare di fare il medico, la veterinaria o il pompiere è un’operazione naturale, quasi come respirare. Certo, ogni tanto manca la carta nei bagni, la supplente non arriva o si consuma l’ennesimo scandalo sui test d’ingresso per le facoltà più prestigiose, ma la spending review non è ancora riuscita a toglierci il diritto più importante, che ci permette di esercitare consapevolmente tutti gli altri, quello all’istruzione.
Purtroppo non in tutto il mondo è così e mentre nella Cina delle decine di milioni di bambini lavoratori è stata istituita la prima università di magia, in Mali solo una persona su quattro sa scrivere e leggere e negli Stati Uniti molti ragazzi si arruolano nell’esercito perché è l’unico modo per affrontare i costi proibitivi del college. Eppure queste piccole grandi tragedie umane raramente conquistano più di un trafiletto sul giornale, a parte pochi sporadici casi, come quello delle ragazze nigeriane rapite da Boko Haram o la storia di Malala, la ragazzina pakistana che voleva studiare e per questo è stata quasi uccisa dai talebani. Per liberare le prime si sono mobilitate attrici, cantanti e first ladies ed è stato creato il celebre hashtag #BringBackOurGirls, la seconda è stata candidata al Premio Nobel per la Pace… e per i bambini lavoratori delle miniere di Potosì? Per quelli che in Medio Oriente sono stati sbrigativamente etichettati come danni collaterali? Per le ragazzine tailandesi vendute al miglior offerente? Per gli ex bambini soldato? E per tutti gli altri casi altrettanto tristi e dolorosi, ma meno strumentali?
Sentendo queste storie sconosciute ai più, c’è chi decide di fare una donazione o di regalare parte del proprio tempo ai meno fortunati. E poi c’è chi s’indigna e versa pure qualche lacrima, ma è una disperazione passeggera, giusto il tempo di finire il paragrafo, lavare i piatti o far asciugare lo smalto. “In fondo il mondo va così” ci si consola, tornando alla propria vita di sempre. E invece no, perché c’è una cosa piccola, ma efficace e gratuita, che possiamo fare tutti, da casa o dal treno, tra una partita di candy crush e un episodio della nostra serie preferita. Basta infatti solo un po’ di buona volontà, per condividere sui nostri profili social i tanti esempi positivi di istruzione alternativa che, invisibili ai media, si sviluppano nei luoghi più impensabili, dove l’elettricità è un lusso per pochi e la scuola poco più di un’utopia. Pensiamo alle scuole rurali latinoamericane, dove intere generazioni di contadini, dal nonno ai nipotini, dopo aver lavorato tutta la settimana nei campi di cacao e caffè, si recano il sabato e la domenica per imparare a scrivere e far di conto o ai programmi di scolarizzazione a distanza, che raggiungono via radio le comunità andine più isolate, insegnando lo spagnolo e le tecniche di pronto soccorso.
Pensiamo al Carosello, che ha insegnato l’alfabeto a milioni di italiani e alle sue versioni più moderne e colorate, che anche se hanno nomi impronunciabili e modi ancora più strani, hanno il medesimo obiettivo. Tra loro i rapper sudamericani Shaka y Dres e Calle Trece, che per qualche album hanno messo da parte il cappellino e i toni polemici per fare prevenzione contro l’Aids, invitare la gente a recarsi alle urne e combattere la tratta di persone, informando i giovani sulle insidie dell’emigrazione verso gli Stati Uniti senza contatti solidi e legali.
E come non ricordare le star di Bollywood Celina Jaitly e Neera Shridhar, che in un’India lacerata da crudeli violenze di genere, hanno inciso la canzone The Welcome, che con un video allegro e spensierato, invita a non fermarsi alle apparenze e a non mettere alla porta i propri figli se omosessuali.
Insomma, cambiare e migliorare si può e si deve… e a volte rendere meno impervie le strade del mondo è questione di click, è scegliere di condividere al posto della hit del momento una canzone dal ritmo travolgente, che però magari invita alla tolleranza o informa sui rischi dell’emigrazione clandestina, è mettere “mi piace” alla pagina di una ONG, è condividere gli scritti di un poeta sconosciuto che al di là del mare lotta per l’indipendenza del suo Paese, è firmare le petizioni per chiedere ai potenti meno fanatismo e più giustizia. Anche questi sono piccoli passi verso l’istruzione e la cultura, in questa effimera era dei social networks.