VALENTINA PETRILLO: UNA CAMPIONESSA PARALIMPICA CON UNA STORIA TUTTA DA RACCONTARE…

Data: 01/12/20

Rivista: dicembre 2020

Categoria:Interviste,Sport e salute

  1. Buongiorno Valentina. Molti dei nostri lettori ancora non ti conoscono, vuoi presentarti brevemente?

 

Volentieri. Sono nata a Napoli, 47 anni fa, con il nome di Fabrizio. All’età di 14 anni divento ipovedente a causa della malattia di Stargardt, che mi procura un profondo danno alla visione centrale. Dopo le scuole superiori mi trasferisco a Bologna, dove vivo tutt’oggi, per studiare informatica in una scuola specializzata per ipovedenti e non-vedenti. Sin dall’infanzia convivo con un’incongruenza fra il genere assegnato alla nascita, maschile, e quello percepito, femminile. Non ho mai rivelato a nessuno il disagio interiore che vivevo. Nell’ottobre del 2018 ho corso per l’ultima volta nella categoria maschile e lo scorso 11 settembre ho fatto la mia prima gara nel genere femminile.

 

  1. Come è nata la passione per l’atletica?

 

Avevo 7 anni, quando vidi Pietro Mennea vincere la medaglia d’oro nei 200 metri alle Olimpiadi di Mosca del 1980. Per me quella resta la gara più bella nella storia dell’atletica leggera, e mi vengono ancor oggi i brividi quando la rivedo.

 

  1. Campionessa paralimpica, vanti ben 11 titoli italiani nella categoria maschile e 3 vittorie recentissime nella categoria femminile. Come ti senti ad essere la prima atleta transgender a livello mondiale ammessa in una gara ufficiale tra le donne, pur avendo documenti ancora al maschile?

 

A volte mi fermo a pensarci e, solo in quegli istanti, capisco il vero valore di quello che sono riuscita ad ottenere! In questi momenti faccio fatica a pensare che sia stata proprio io a farlo. A volte credo che il mio percorso fosse già scritto, e spesso mi capita di parlare in pubblico e subito dopo domandarmi: “ma sono stata io a dirlo?”

 

  1. Parlando di questioni di genere, qual è stata la scintilla che ti ha spinta ad intraprendere questo percorso di trasformazione da Fabrizio a Valentina?

 

Avevo 9 anni quando iniziai ad indossare gli indumenti di mia mamma. Da allora non ho mai smesso, ma da quel giorno promisi a me stessa che quello sarebbe stato il mio segreto inconfessabile. Avevo paura, perché non volevo rovinare la vita ai miei genitori e non volevo deluderli. Perciò ho sempre “dominato” la mia femminilità, relegandola ad un mio momento intimo e privato, ma poi un giorno non ce l’ho più fatta e sono scoppiata. Non riuscivo più a condividere con gli uomini spazi comuni, mi sentivo violentata ogni volta che dovevo spogliarmi o fare la doccia con loro.

 

  1. Quando si parla di te, l’attenzione viene spesso posta sulla transessualità e quasi mai sulla tua disabilità. Come ti sei accorta di soffrire della malattia di Stargardt?

 

Era l’estate del 1987, avevo quasi 14 anni, e da pochi giorni avevo finito l’esame di scuola media inferiore. Ricordo che avevo letto dal libro e che poi andai a vedere Maradona allo stadio per il primo scudetto del Napoli. Questi sono stati i miei ultimi ricordi di quando vedevo bene. A settembre dello stesso anno, con l’inizio della scuola, mi resi conto d’improvviso che non riuscivo più a leggere sui libri.

 

  1. Qual è il messaggio che vorresti dare a chi ti segue e a chi oggi legge quest’intervista?

 

Statemi vicino, chiedetemi, parlatemi! Starò ad ascoltarvi e, finchè ci riuscirò, proverò a farvi capire quello che sento nel profondo, anche se è quasi impossibile! Io sono una ragazza come tante altre, come ne incontrate ogni giorno. Sono la ragazza della porta accanto: jeans, t-shirt e sneakers.

Decidere di intraprendere una transizione di genere non è mai un percorso agevole, sotto tanti aspetti: ti ritrovi a dover resettare tutta la tua vita, a sapere quella che eri, ma a non poter prevedere quella che diventerai. Metto a disposizione di tutti la mia esperienza, perché si possa capire che essere trans non è un peccato, un divertimento o un capriccio: essere trans è un’esigenza. Ma il mio messaggio è diretto principalmente a tutti gli adolescenti e i giovani che, come me, si sentono soli ed unici al mondo. Non abbiate paura, siate voi stessi fino in fondo, non temete il giudizio altrui, perché non è quello che vi renderà felici nella vita. Sarete amate e rispettate proprio per questa vostra caratteristica. Ognuna di noi ha diritto di essere felice! Siate fiere di Voi stesse, fate della vostra “diversità” la vostra unicità, perché ogni individuo è “Unico nel suo Genere!”.

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