Vanni Oddera è nato in «un paesino arroccato sull’appennino ligure fra Genova e Savona» nel 1980 e sin da piccolo ha vissuto una vita spericolata fra boschi e montagne. Oggi lo conosciamo come campione di motocross freestyle, una disciplina che prevede l’esecuzione da parte del motociclista di spettacolari acrobazie ad altezze di anche diciotto metri. Sicuramente un percorso che gli si addice. Dal 2008, Vanni porta l’ebbrezza e il senso di libertà della moto anche a bambini e ragazzi con disabilità grazie alla cosiddetta “mototerapia”.
Vanni, quali effetti ha la “mototerapia” sui giovani che incontri in ospedale?
La “mototerapia” migliora la qualità di vita, come tutte le cose belle che una persona può fare. Certo non guarisce, ma offre la possibilità di “godersi un tempo di qualità”. La moto è sinonimo di libertà già per i normodotati. Quando la porti in ospedale, diventa un circo. Ti dimentichi di essere costretto tra quelle mura. E poi c’è l’aspettativa. Ad esempio, la prossima settimana vado in un ospedale ad Ancona e già mi hanno mandato i video dei bambini che giocano con le moto e chiedono di me. Insomma, la mototerapia non si consuma in poche ore, ma dura giorni e giorni. Prima, durante e dopo.
Possiamo dire quindi che gli effetti sono soprattutto psicologici.
Esatto. Per esempio, una ricerca scientifica che abbiamo svolto all’Ospedale pediatrico Regina Margherita di Torino per la durata di un anno evidenzia come stare bene, avere un buon numero di endorfine e tenere viva l’adrenalina riduce il numero di pillole anti-vomito che si prendono durante la chemioterapia.
Cosa puoi raccontarci, invece, dei viaggi che avete organizzato assieme ad alcuni ragazzi disabili e malati terminali, chiamati “Paura e Delirio”?
Abbiamo deciso di organizzare questi viaggi che durano giorni, nei quali portiamo i ragazzi oncologici e disabili a fare le sciocchezze e le pazzie che tutti abbiamo fatto durante la giovinezza. Tante persone non hanno potuto farlo a causa di una malattia o una disabilità. Dare ai ragazzi la possibilità di “esagerare” e magari anche fare qualche piccolo sbaglio è il nostro obiettivo.
Secondo te, quale ruolo giocano i pregiudizi quando parliamo di disabilità e inclusione?
Penso che chi protegge in maniera esagerata i ragazzi disabili li uccida prima. Questa campana di vetro va demolita. Devono essere trattati come noi. Non c’è differenza, siamo tutti uguali. Ognuno deve poter fare ciò che ama fare, senza precludersi nulla. Solo così l’autostima si alza.
Cosa hai imparato dai ragazzi con i quali sei entrato in contatto durante la mototerapia?
Ho imparato l’umanità, che ormai è andata persa nella vita quotidiana, il profumo della vita. E infine ho imparato che dare è più bello che ricevere.