Roberto ha 29 anni, una laurea in Lettere e Filosofia, un master d’insegnamento della lingua italiana agli stranieri e suona magistralmente due strumenti musicali; tutto questo superando la sua disabilità. Roberto è ipovedente dall’età di tre anni, ma ciò non gli ha impedito di affrontare la vita come una ‘scalata in montagna ‘ riportando le sue stesse parole, visto che tra le montagne è nato e cresciuto. La sua famiglia ha contribuito attivamente in questa sua crescita, incoraggiandolo e spronandolo a coltivare le sue doti innate, anche se le difficoltà non mancano, i momenti di sconforto pesano, ma Roberto, come un buon scalatore, cerca di raggiungere la ‘vetta’ giorno dopo giorno. Ecco cosa mi ha detto durante la mia intervista.
Come ti sei trovato trasferendoti da un piccolo paese montano come Cibiana a Padova per studio?
– Bene direi; l’ambiente universitario mi è piaciuto molto all’inizio. A Cibiana ero più autonomo nei movimenti, ma qui c’erano gli obiettori che mi aiutavano ad andare all’università; in più, essendo gente giovane, mi trovavo bene a passarci del tempo. Diciamo che come compagnia compensavano la carenza di amici che avevo all’inizio qui a Padova rispetto a Cibiana… A volte negli spostamenti c’erano disguidi, ma in generale era un buon servizio.
Quali difficoltà hai trovato all’Università e come le hai superate?
– A parte il trasporto a lezione, per il quale l’università mi è venuta incontro con il servizio obiettori, c’era il problema di studiare e ripassare gli appunti: a lezione gli appunti li prendevo io, ma poi non riuscivo a rileggerli, come non riuscivo a leggere i libri (non avevo uno scanner): così, per queste cose, mi hanno aiutato i miei genitori. A lezione in genere mi arrangiavo: non c’erano tante cose scritte alla lavagna e di solito gli obiettori stavano lì ad aiutarmi, anche se non sarebbe stato un loro compito. Infatti poi, da un certo punto, tanti non si sono più fermati, o comunque si preferiva chiedere gli appunti ad un compagno di corso. D’altra parte, poverini, certe lezioni di latino o filologia bizantina post-pranzo dovevano essere un supplizio… Per lo studio, da un certo punto in poi, è stato possibile anche farsi leggere i libri all’Ufficio Disabilità (per cui anche un disabile visivo qui da solo avrebbe potuto cavarsela credo).
Secondo te l’Università di Padova è attenta ai problemi dell’handicap e perché?
– Per il trasporto a lezione e gli altri servizi cfr. sopra… Anche se non so oggi come sia messo l’Ufficio Disabilità, con i tagli al servizio civile volontario e altri problemi che c’erano stati… Per il resto con i docenti mi sono sempre trovato bene (ho trovato persone aperte verso i miei problemi)…
Hai amicizie a Padova, fuori e dentro l’Università?
– Sì… Quelle dentro l’università ormai si sono un po’ allentate… Fuori ho delle amicizie soprattutto con persone che hanno fatto il servizio civile o le 150 ore, oppure il master insieme a me. In ogni caso, di tutte le persone che ho incontrato all’università, sono state davvero poche quelle con cui ho avuto dei contatti non occasionali. Per il master è stato diverso (ma lì eravamo un gruppo più unito, per forza).
Come ritieni sia la gente? Quali somiglianze e differenze trovi rispetto ad un piccolo paese montano?
– Al mio paese la gente è poca, ci si conosce circa tutti e ci si parla più facilmente; all’apparenza c’è un’atmosfera più famigliare. In realtà poi non è proprio così, e mi pare che verso i miei problemi ci sia (con qualche notevole eccezione) la stessa diffidenza che c’è tante volte anche a Padova; e quando una persona la conosci di più, come in un paese, ti accorgi di più anche di questi atteggiamenti.
Ci puoi raccontare un aneddoto divertente che ti è capitato?
– Non saprei… Non mi viene in mente niente di ché… Mi è capitato, da piccolo, di prendere qualche palo proprio in pieno, e la gente che assisteva si è divertita molto… Io meno… Oppure una volta ho investito un muto in bicicletta e poi lui cercava di farmi capire qualcosa a gesti, ma naturalmente era difficile… Un paio di volte ho rischiato di sedermi sopra a qualcun altro in autobus… Niente di particolare comunque…
Di quali strumenti ti sei avvalso per superare il tuo handicap e poter ottenere ottimi risultati nello studio?
– Inizialmente, come dicevo, sono ricorso all’aiuto dei miei per gli appunti e per la lettura dei libri; e insieme anche al computer, ma solo per ripassare gli appunti delle lezioni che avevo trascritto. Nell’ultimo periodo, invece, ho iniziato a usare il computer anche per scansionare dei saggi o dei libri, e per prendere appunti a lezione, con l’aiuto anche di un registratore che permette di collocare dei “segnalibri” dove non si riesce ad annotare una parte importante di un discorso… (I computer, naturalmente sono dotati di sintesi vocale…) In questo modo mi sono reso praticamente autonomo, nello studio.
Visto che sei musicista parlaci del tuo rapporto con questo strumento, quando hai iniziato a suonarlo, quali sono state le maggiori difficoltà e se lo consiglieresti a persone con il tuo stesso problema visivo.
– Credo di aver iniziato a suonare il violoncello a dieci anni. I problemi che ho avuto ad imparare a suonarlo sono stati dovuti prima di tutto al fatto che mi veniva un po’ imposto: non avevo tanta voglia inizialmente, purtroppo… E poi non è facile come strumento: con il pianoforte mi è sempre sembrato tutto più semplice (sarà anche un po’ questione di essere portati, ma comunque il violoncello è difficile). Consiglierei a tutti di suonare uno strumento, se ne hanno voglia. I non vedenti, in passato, specie ai tempi delle scuole speciali (da non rimpiangere comunque), venivano avvicinati a uno strumento (o forse a più di uno) proprio perché poteva rappresentare uno sbocco professionale. Le difficoltà erano, e sono, quelle legate alla memorizzazione dei pezzi, un passaggio obbligato per tutti i non vedenti, che comporta sicuramente lo svantaggio di un maggiore dispendio di tempo e che impedisce di suonare a prima vista, ma che porta anche dei vantaggi, visto che suonare a memoria aiuta sicuramente a entrare più in profondità nella musica (almeno questa è la sensazione che ho io, ma non solo). In Giappone, tra l’altro, se non sbaglio, gli allievi di conservatorio imparano tutto a memoria… Oggi la musica, specie se classica, difficilmente può rappresentare uno sbocco professionale (succede a pochissimi credo di potersi mantenere suonando). In ogni caso è una forma espressiva molto importante, che può rappresentare un piacere, uno sfogo e un modo di esprimersi, appunto… Come tutte le forme artistiche poi… Mi pare che fosse Shumann a dire che il pianoforte è un amico a cui puoi raccontare tutto e che non dirà niente a nessuno (poi Shumann è diventato matto, ma questo non centra…). (Ride sotto i baffi)
Frequenti associazioni? E se sì quali e in che modo ti sono state d’aiuto per il tuo handicap?
– Da piccolo ho “letto” molti libri grazie al Libro parlato: mi ha dato davvero un’opportunità di crescita importantissima, che altrimenti non avrei potuto sfruttare probabilmente. Ho smesso di usufruirne durante il periodo universitario (non avevo tempo), se non per qualche libro di studio che mi sono fatto registrare dalle biblioteche audio. Poi ci sono altri mezzi per leggere ormai, ma il Libro parlato resta comunque un’importante alternativa. Per quanto riguarda l’Unione Ciechi (UICI – Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti) mi ha seguito molto soprattutto mentre frequentavo la scuola dell’obbligo. Durante l’università me ne sono abbastanza allontanato, ricominciando a frequentarla un po’ solo negli ultimi due anni. Ora cercano di darmi una mano soprattutto nel lavoro. Un altro istituto per ciechi che mi sembra molto attivo è il Cavazza di Bologna, che propone varie iniziative interessanti anche on-line.
Cosa stai facendo adesso che hai conseguito la laurea?
– Ora (Accartoccia le labbra)… Il lavoro che mi ero preparato a svolgere durante l’università, quello di insegnante, ora è diventato quasi un miraggio, per me come per tutti, per lo meno nella scuola pubblica. Nella scuola privata, come in tutti i posti in cui potrei svolgere un lavoro allo stesso livello di persone normodotate, spesso il problema è rappresentato dai pregiudizi verso chi ha una disabilità (nella scuola privata forse ce ne sono meno comunque). Per questo motivo ho frequentato un corso di centralinista e ho preso la relativa qualifica, iscrivendomi all’albo; si tratta di un ambito professionale in cui i non vedenti hanno ancora garanzie di occupazione, anche se pure qui i posti, complici i centralini automatici, cominciano a scarseggiare (anche perché, poi, varie aziende chiedono insieme alla qualifica di centralinista altre competenze, inaccessibili a chi non vede, e quindi alcune opportunità se ne vanno). Per il resto continuo a studiare per conto mio, cerco di migliorare il mio inglese, di approfondire le mie conoscenze informatiche e insegno l’italiano agli stranieri, perché ho frequentato un buon master dedicato a quest’attività e insegnare è comunque la mia grande passione. Gli stranieri provengono da moltissime nazioni, sono volonterosi, pieni di speranza nel futuro e mi stimolano a sperimentare lezioni più dinamiche e attinenti alle loro esigenze quotidiane. Considero questo lavoro una crescita non solo per loro ma anche per me stesso, un piacere giornaliero al quale dedicarmi come una missione, un ‘ritrovo di amici ‘ dove conoscere nuove culture, scambiarsi idee e informazioni dalle più comuni alle più strambe ed impensabili.