Vivere è imparare

Data: 01/06/03

Rivista: giugno 2003

Il 26 maggio si è tenuta una conferenza sul tema “Creatività ed Educazione permanente” promossa dall’Accademia degli Accesi di Trento in collaborazione con l’Osservatorio sulla Didattica della Facoltà di lettere e filosofia dell’università di Trento.

Queste poche righe vengono scritte prima dell’interessante appuntamento e ci danno lo spunto per tentare una riflessione in merito.

Il professor Aldo Nardi, membro sia dell’Accademia sia dell’Osservatorio nonché docente di Psicopedagogia del linguaggio presso l’Università di Trento, ci ha parlato di questo incontro e in generale dei temi che affronta, in una chiacchierata ampia sull’ argomento, di cui vorrei proporre alcuni spunti.

In un’Italia ancora troppo tradizionalista nel sentir comune, circa i temi dell’educazione in generale, si stanno facendo largo altre istanze che ampliano ancora di più e in modo sostanziale questo concetto allargando lo spettro d’attenzione dalla fase infantile e adolescenziale a quella dell’adultità, ma non solo.

Non si parla infatti esclusivamente di educazione degli adulti, bensì di educazione permanente, che investe tutta la vita, non solo il periodo “post-scolastico”; tutto ciò in un contesto dove l’uomo è inserito in un ambiente di sempre maggiore apertura, un mondo nel quale si è costretti a cambiare più volte tipo di lavoro nell’arco della propria vita, dove crescono le possibilità di doversi spostare da un paese all’altro per esigenze professionali, di formazione e di famiglia.

Il nuovo concetto di educazione permanente tanto nuovo poi non è, infatti si differenziò dall’educazione degli adulti dopo il congresso dell’Unesco di Montreal del 1960, connotandosi definitivamente come ideale di formazione integrale che dura tutta la vita.

Si comincia quindi a parlare di un complesso di interventi che vanno oltre la dimensione educativa intenzionale, non qualcosa di isolato, a sé stante rispetto alla complessità del sistema educativo, ma addirittura qualcosa che viene ad esaltare il ruolo di ogni particolare forma educativa, sia scolastica che extra-scolastica, lungo l’intero arco della vita.

L’educazione permanente si coniuga in maniera molto stretta col territorio nell’integrazione tra dimensione scolastica ed extra-scolastica e sancisce l’interdipendenza dei rapporti tra uomo, natura, produzione e società, così da realizzare quello che è stato definito un “ecosistema educativo”.

L’opportunità di non fermarsi mai nel proprio guscio troppo a lungo, tanto da perdere di vista il senso della realtà, il gusto della vita in ogni senso, ad ogni età e condizione, è ciò a cui mira in fondo l’educazione permanente. Semplificando, questo è ciò che si intravede in un’azione educativa continua, dato che i soggetti in formazione sono portati ad accentuare il sé, ad accrescere il bisogno di conoscersi, di capirsi, di sviluppare le diverse immagini del sé. Il che si ricollega direttamente alla coscienza dell’esistenza degli altri, ma anche al desiderio di prenderne le distanze per essere maggiormente se stessi, ritrovare se stessi, liberarsi dalle immagini distorte di sé percepite dagli altri.

Vorrei sottolineare due punti interessanti della questione:

  • Il ruolo di rilievo, soprattutto nella fase adulta, dell’educazione permanente nel superamento di un sé rigido, tipico di chi assume una posizione di difesa verso tutto ciò che è sconosciuto, a favore di un sé fluido caratteristico di chi è in grado di impegnarsi in attività diverse magari anche in apparenza contraddittorie tra loro.
  • La posizione dell’ educazione permanente all’interno degli attuali sconvolgimenti economico–politico-sociali (tra cui, per esempio, il rapido mutare dell’organizzazione del lavoro), che la portano a misurarsi col tempo del “non lavoro”, inteso come insieme dei tempi che, per ragioni diverse, vengono lasciati liberi dal lavoro, come quello dell’anziano, dell’inoccupato, della casalinga. Il tutto per restituire senso ai segmenti di “tempo liberato”, oltre che per scongiurare che altri “sensi” ben più pericolosi e drammatici prendano il sopravvento su questi tempi, in termini di devianza giovanile, criminalità e illegalità.

Questo si può fare ripensando e riconsiderando la nuova dimensione del “tempo liberato”, stabilendo nuovi parametri in grado di fornire senso e valore etico all’agire umano nel tempo del non lavoro, anche per consentire all’individuo di oltrepassare i limiti del mero consumo di beni materiali.

In tutto questo ampio discorso, che qui è stato solo sfiorato, si inserisce il tema centrale nella conferenza di cui si è detto inizialmente, la creatività e l’educazione permanente. L’età adulta, e in particolare la terza età, che presentano dei lati problematici per ciò che riguarda la possibilità di “accesso al mondo”, lo star soli, possono esser visti come limite sensoriali, ma sul piano dell’invenzione possono essere interpretati come capacità di prestare un ascolto più mirato e attento alla propria interiorità e, quindi, alla propria dimensione creativa. Ricordare il proprio percorso autobiografico è ciò che consente alla persone di uscire da sentieri già tracciati per intraprendere un cammino verso una migliore realizzazione del proprio destino e un miglioramento della qualità della vita.

Ricerca del rifugio o accettazione del rischio, dunque, disciplina o mettersi in gioco e mettere in gioco tutte le capacità e modalità di essere?

Accettare le piccole e grandi sfide quotidiane è già un valore aggiunto alla vita, accettare le esperienze che ne derivano è una parte importante per conoscersi e conoscere ciò che sta oltre noi e sicuramente questo non sarà mai una partita persa per noi e per gli altri in qualsiasi momento e a qualsiasi età.

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