Voglia di autobus

Autori:Redazione

Data: 01/05/00

Rivista: maggio 2000

Autobus, pullman, treni, taxi sono mezzi di trasporto pubblici destinati a tutti ma, a Trento come in tante altre città, il loro uso è negato a persone con handicap fisico come i soggetti costretti sulla carrozzina o quelli con gravi limiti alla deambulazione. Si è fatto qualcosa per eliminare questa discriminazione? Un tentativo di fare il punto sulla situazione è stato fatto mercoledì 26 gennaio presso il centro servizi culturali Santa Chiara di Trento in un convegno intitolato: “Una strada verso l’autonomia: esperienze e proposte per il diritto alla mobilità”. L’intestazione da sola rende con efficacia gli scopi dell’incontro: discutere del diritto delle persone disabili, o con limitata autonomia motoria, a muoversi autonomamente nel territorio.


Organizzatore il Servizio Attività Sociali del Comune. All’entrata dell’aula, cortesi ragazze distribuiscono materiale informativo sull’handicap, sulle leggi di supporto alla disabilità ed un pregevole libro sulla Trento sbarrierata.

Alle 9 si parte. Aprono i lavori la dottoressa Renata Poli, funzionaria del Comune, e Andrea Rudari, assessore ai lavori pubblici, mobilità urbana e verde pubblico. Dopo il benvenuto, ambedue sottolineano come il programma del giorno sia il frutto del tavolo di lavoro sull’handicap avviato due anni prima dall’assessorato alle politiche sociali del Comune di Trento in concerto con il privato sociale.

La parola passa poi al dottor Carlo Giacobini responsabile nazionale dell’U.I.L.D.M. (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Dopo aver introdotto la sua relazione con una piccola rassegna storica sulla disabilità in Italia, richiama cose amaramente ben risapute, quali gli articoli della costituzione italiana che prevedono l’abbattimento di barriere che impediscano ad un cittadino di contribuire, per quanto è personalmente in grado, al bene della collettività nonché l’esistenza da molti anni di strumenti legislativi ed economici per superarle. Rivolto ai presenti, Giacobini chiede: “Si è adempiuto a questi obblighi? No, – risponde – perché anche la legge più perfetta non serve a nulla se non viene applicata”.

Presenta poi i risultati di un questionario sulla mobilità distribuito a 440 disabili della Provincia. Più del 50% degli interpellati ha risposto e questo, afferma Giacobini, è di per sé un segno dell’importanza che ha per loro la mobilità. Dai dati risulta che i trasporti più utilizzati dai disabili trentini sono nell’ordine: 1) trasporti speciali “porta a porta”, per intendersi il servizio offerto dalle cooperative “La Ruota”, “La Strada”, “La Casa”; 2) i mezzi privati di parenti o amici; 3) mezzo privato proprio. Nessuna sorpresa quindi, visto che purtroppo queste sono le uniche modalità di trasporto a disposizione di chi ha un deficit motorio. Giacobini riserva poi parole poco lusinghiere nei confronti delle cooperative di trasporto locali, accusate di costi eccessivi e scarsa efficienza.

Dall’indagine emerge anche un dato interessante: tra le modalità di trasporto che i disabili vorrebbero utilizzare, ma non possono perché inaccessibili, ci sono ai primi posti l’autobus urbano ed il taxi. Il primo è gradito perché dà l’opportunità di stare in mezzo agli altri e di fare la stessa strada; il secondo per la tempestività di risposta alla chiamata e perché considerato meno “ghettizzante”: è infatti convinzione generale che il disabile in taxi dia di sé l’immagine di una persona ancora “inserita” mentre quello che utilizza il mezzo speciale lascia pensare ad un “poveretto, guarda come s’è ridotto”. Giacobini conclude la sua redazione affermando che si possono cambiare le cose solo coordinando leggi, finanziamenti, idee ed energie: in una parola “programmazione”, senza la quale si rischia di rispondere in modo disarticolato alle esigenze del cittadino.

La parola passa ad un rappresentande dell’azienda di trasporto Dolomitibus di Belluno che porta l’esperienza della sua città, che da tempo adotta vari autobus attrezzati, ma non pare troppo convinto dei risultati se, in conclusione, si lascia scappare: “Un esperimento da verificare!”.

Segue, in rappresentanza del servizio di trasporto pubblico di Trento, l’intervento dell’ingegner Mario Masini. Candidamente comunica che l’Atesina è in possesso di 18 autobus attrezzati per il trasporto di disabili che, però, non può far circolare nei percorsi cittadini per mancanza di accessi e piazzole adattate alle fermate. Diffusi brusii di protesta e qualche commento acido: Meglio se gli autobus restano qualche anno in rimessa: più sono vecchi, più ne guadagnano in esperienza! Masini para il colpo annunciando: 1) l’allestimento in via sperimentale di alcune pedane lungo la linea urbana numero 13; 2) l’acquisto di altri 40 autobus attrezzati e, per chi abita fuori città, 3) la decisione presa dal consiglio di amministrazione dell’Atesina di acquistare 5 pullman attrezzati. Infine alza decisamente il morale dei presenti quando assicura che, sulle rotaie, la situazione è ben migliore: è già possibile infatti salire, alla stazione di Trento, con la carrozzina su alcuni treni della rete ferroviaria nazionale e su quelli della Trento – Malè. Soddisfazione generale espressa con ampi sospiri ma, aggiunge l’igegnere: “Ehm bisogna fare richiesta del servizio almeno un giorno prima per dar tempo alle aziende di mobilitare il personale addetto ai monta-persone!

Ma non sono proprio quei trasporti speciali che si volevano eliminare? L’ultimo intervento dal palco, prima del dibattito finale, è dell’assessore provinciale ai trasporti Silvano Grisenti. Si impegna con determinazione, davanti ai 100 convenuti, a apportare un emendamento al disegno di legge sulla riorganizzazione del servizio taxi. Detto emendamento, in discussione a primavera, prevederà buoni taxi per i disabili e il finanziamento di mezzi idonei e attrezzati per i portatori di handicap.

Sembrano proclami riciclati da altri convegni. Conclusi gli interventi ufficiali, la parola passa al pubblico. Subito alcuni disabili esprimono alla sala ma ben rivolti ai politici presenti, la loro rabbia per i cosiddetti “ostacoli burocratici” in cui si imbattono quotidianamente nel tentativo di superare difficoltà anche minime. Una signora si lamenta della disorganizzazione del servizio di trasporto che la costringe a sforzi enormi per garantire al figlio un’assistenza adeguata. Applausi convinti.

Qualcuno avanza il sospetto che i progettisti, o chi approva strutture cosiddette “sbarrierate”, non sappiano esattamente di cosa stiano trattando. Chiede se non sia il caso di costringere politici, ingegneri, architetti e tutti quanti a vario livello decidono e progettano l’eliminazione di barriere architettoniche, di prestare ore, naturalmente di volontariato, per provare sulla propria pelle l’esperienza di muoversi in carrozzina, per le strade, sui marciapiedi, ecc.. Questo sarebbe un ottimo modo per loro per farsi una chiara idea delle esigenze di mobilità del disabile. Alle 12.30 si finisce. All’uscita, a quanti lo richiedono, viene rilasciato un attestato di partecipazione al convegno.

Che dire? Fare i criticoni, per posizione presa, non conviene perché l’argomento è troppo importante però, non più tardi di qualche mese fa, si è tenuta a Roma il “La prima Conferenza Nazionale sulle Politiche dell’Handicap” di cui riportiamo a fianco un piccolo resoconto. Redatto sotto la supervisione di un architetto, Vescovo, si notano, da un lato, le accuse agli Esecutivi governativi succedutisi fin qui di incapacità di reperire risorse per affrontare adeguatamente il problema handicap e gli inviti ad invertire la tendenza attuale basata sull’assistenzialismo; dall’altro la richiesta al governo, come proposito di fine legislature, di inserire in agenda l’obiettivo irrinunciabile dell’accessibilità e mobilità e, più in generale, l’appello a tutti ad approfondire le modalità per un trasporto pubblico accessibile a chiunque, a predisporre efficaci campagne sui media per la sensibilizzazione al diritto della “città per tutti” e, udite udite, ad eliminare le barriere architettoniche, aspetto questo essenziale per le competenze professionali.

Diciamocelo, occorreva proprio una pomposa Prima Conferenza Nazionale, con sfilata di ministri, sottosegretari, esperti e altri che di handicap ci campano, per arrivare a queste “clamorose” conclusioni?

Ed era necessario ribadire il senso di tanto niente in un incontro in periferia, a Trento? Cosa poteva dire di più questo piccolo incontro, se le premesse erano quelle? Scoraggiante, no!?

PS: A tutto maggio non c’è la benché minima traccia in “solido” delle due conferenze. Non è la prima volta!

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