Dopo i trent’anni i giovani, anche se con un lavorio precario, hanno voglia di lasciare il “nido”, ossia la casa dei genitori, per iniziare un loro percorso di vita in autonomia.
Perché a discapito di quanto si possa credere il desiderio d’indipendenza è un istinto inderogabile degli esseri umani.
Questo desiderio è ancora più forte quando si tratta di persone disabili. Soprattutto quando parliamo di persone con disabilità acquisite per le quali l’ambiente familiare è stato, nella maggior parte dei casi, un luogo iperprotettivo.
Spesso i genitori dei ragazzi disabili tendono a far vivere i loro figli in una sorta di campana di vetro; le motivazioni di quest’atteggiamento sono molteplici, come ad esempio la paura che i figli si possano scontrare con il mondo esterno incorrendo in pericoli e delusioni. C’è anche il timore che questi giovani che si affacciano al mondo possano essere feriti e delusi profondamente dalle relazioni sociali e sentimentali. Ultimo, ma non da meno, il distorto pensiero che i figli, proprio perché disabili, non riuscirebbero a cavarsela nel mondo esterno, benché istruiti e autosufficienti dal punto di vista economico.
Sono ancora poche le persone disabili che oggi riescono a realizzare l’emancipazione dalla famiglia grazie soprattutto alle opportunità di lavoro e a nuovi ausili che facilitano loro la vita. Tra questi, sono in maggioranza gli uomini uomini.
Infatti, tra tanti che non riescono a realizzare questa vita indipendente, ci sono le donne.. Ho sentito, infatti, il parere di due donne disabili dalla nascita di due diverse regioni che si raccontano.
“Mi chiamo Elena, ho quarant’anni e vivo in provincia di Cremona, sono disabile dalla nascita affetta da Spina Bifida; ho un certo grado di autonomia e anche un bel lavoro in banca. Per anni i miei genitori mi hanno tenuto in una sorta di campana di vetro, non permettendomi di fare le esperienze che invece facevano le mie coetanee e i mie fratelli non disabili. Quando mi sono ritrovata da sola, perché i miei genitori uno dopo l’altro sono venuti a mancare, ho dovuto fare i conti con le responsabilità che nessuno mi aveva insegnato ad assumere, con le paure verso il mondo esterno, istintive per gli adolescenti, ma che io vivevo ancora a trent’anni!
Anche Annalisa, dal Piemonte, trentenne, affetta da Paralisi Cerebrale infantile, con una laurea in lingue e un lavoro part-time esprime lo stesso disagio.
“Vorrei far conoscere ai miei genitori altre persone disabili, anche donne che hanno raggiunto l’indipendenza ed una vita autonoma, perché i miei genitori credono che possa essere un’utopia che una persona disabile possa cavarsela da sola”.
E noi lanciamo quest’accorato appello ai genitori di Annalisa, a tutti i genitori d’Italia con figli disabili già in età da “vita indipendente”: lasciate che i vostri ragazzi provino ad affrontare il mondo se lo desiderano, perché il mondo può essere ostile indipendentemente dalla disabilità.
Grazie ad Elena, e Annalisa per la testimonianza.