Il surf e il suo elemento naturale, l’ acqua, sono presentati qui di seguito come strumenti terapeutici ed educativi. Questo è quanto emerge secondo i ricercatori ed i responsabili della ricerca “SUP ABILITY: risultati, metodologie e buone prassi”, presentata in un workshop tenutosi a Trento il 6 novembre scorso. Il progetto di ricerca è stato promosso dalla Cooperativa Sociale Arché con la collaborazione del Laboratorio di Osservazione Diagnosi e Formazione (ODFLab) dell’Università degli Studi di Trento e del Collegio Didattico di Scienze Motorie dell’Università degli Studi di Verona. Un resoconto dei risultati dello studio sperimentale sugli effetti della pratica sportiva del SUP (Stand Up Paddle) surfing per persone con disturbi dello spettro autistico, che ha svelato quanto questa attività outdoor e la metodologia unica applicata, siano efficaci in particolare su soggetti autistici ad alto funzionamento, nell’implementare la loro capacità di inclusione, stimolando benefici psicofisici legati al coordinamento, alla propriocezione e autodeterminazione. Stando alle registrazioni riportate dai ricercatori, gli stimoli positivi naturali, una precisa e puntuale organizzazione delle fasi durante l’attività proposta, il riscaldamento, la fase in acqua, fino al rientro a terra, stimolano l’apprendimento, l’acquisizione di competenze motorie e la relazione sociale.
Questo studio sperimentale rappresenta l’occasione per porre l’attenzione su una nuova ed originale metodologia di interrelazione tra soggetti affetti da disturbo dello spettro autistico, operatori, istruttori e volontari calati in un contesto outdoor e in totale libertà di espressione e movimento. Il teatro della sperimentazione “Sup Ability” è il centro nautico di San Cristoforo al lago di Caldonazzo, un luogo che per le sue caratteristiche logistiche ed organizzative si presta ad ospitare qualsiasi tipologia di soggetti, non a caso sono già cinque anni che la Cooperativa Arché svolge qui attività sportive inclusive per tutti, con quatto barche a vela accessibili, una ventina di stand up paddle, dragonboat e da quest’anno anche il canottaggio adattato. Un contesto che aveva già assunto le buone prassi e le sensibilità necessarie per affrontare una ricerca così particolare. Ovviamente tutto questo percorso è stato possibile grazie alla collaborazione dell’Università di Trento, dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive, con la con la Prof.ssa Paola Venuti, la presenza sul campo di una ricercatrice dell’ODF Lab di Rovereto, la dott.sa Chiara Cainelli e due studenti laureandi del dipartimento di Scienze Motorie, Elisabetta Dal Monte e Manuel Zanotto, seguiti dalla Prof.ssa Francesca Vitali e dalla Dott.ssa Valeria Marconi. Il gruppo si è coadiuvato sul campo grazie alla guida di Michele Bertolotti, responsabile della ricerca per la Cooperativa Arché. Come più volte ricordato anche dal Presidente della Cooperativa Arché, Gianluca Samarelli, colui che ha avuto l’intuizione nello sviluppo di questa proposta:-” l’esperienza di ricerca ha dimostrato come questa pratica e la relativa metodologia, si prestino particolarmente nello sviluppo di aspetti di socializzazione, sviluppo della motricità e coordinazione. Il tutto viene svolto in un luogo naturale e sicuro per i ragazzi, in cui possono migliorare la percezione del proprio corpo e assumere competenze tese alla loro futura vita indipendente.-” Nei tre mesi di ricerca, i ragazzi coinvolti anche con la preziosa collaborazione dei genitori, si sono prestati con entusiasmo ad esercizi, misurazioni ed escursioni durante le quali potevano confrontarsi con il nuovo strumento a loro disposizione, il surf, con l’ambiente acquatico circostante e successivamente con altri coetanei, volontari, operatori e istruttori. Il Sup Surf adattato in questo senso sembra rappresentare, come più volte evidenziato durante il convegno, “un’isola”: la persona sulla tavola deve prima di tutto prendere il controllo del suo strumento, del suo corpo e del contesto in cui agisce. Questo è un momento in cui si sviluppa una sana auto determinazione. Una volta acquisite queste consapevolezze, “l’isola” può iniziare a spostarsi e ad interagire con gli altri componenti del gruppo.
Questo sport è sì individuale nella sua esecuzione, ma diviene ben presto altamente socializzante, uno sport di gruppo in cui la relazione si manifesta in maniera spontanea e genera benessere tra chi lo pratica.