Vincitore sezione "racconto": Daniele Zambelli Franz
LE SALITE E LE DISCEDE DI B.
La prima volta capitò un bel po’ di anni fa. Secondo la Dottoressa, a me piace scriverla con la D così, non dovevo nemmeno avere ancora dieci anni. In effetti ci ho rimuginato sopra a lungo anch’io. Non è che fossi un bambino tanto diverso da tutti quelli che vedete in giro per le strade ogni giorno. Probabilmente ero molto simile. Solo che iniziavo a sentire, dentro di me, che qualcosa non andava proprio bene. Parlarne a casa non era possibile. Il mio vecchio si sarebbe solo innervosito e poi via la solita lite serale con minacce di fuga e pianti. Pertanto preferivo rifugiarmi nel mio mondo di libri di cow boy e fumetti. E, quando sentivo quella cosa dentro di me non andare tanto bene, non facevo che chiudermi di più. Così, per anni, non ne ho mai parlato con nessuno. Mi sono costruito attorno un bel muro davvero, e all’esterno sembrava venuto proprio bene. Scuola, sport, amici, fidanzate. Solo un poco irrequieto e disattento a scuola. Ma cosa volete, commentavano distratti i professori, sarà il carattere inquieto. Spesso sopra le righe, a volte taciturno. Pure qualche esplosione d’ira, di quando in quando. Soprattutto nelle partite di calcio. È che mi trovavo a disagio tra i miei compagni, in particolare quando sono passato nella prima squadra, tra i grandi. Ma io non lo capivo il motivo di quel disagio, e forse reagire in quel modo mi teneva un poco su. Però a calcio tanto bene non andava comunque. Non so come spiegarlo, se non che mi sentivo sempre con poche energie. Ah, ma poi c’erano partite speciali, in quelle ero proprio una furia. Scatenato. Nessuno mi teneva il passo proprio. E poi? E poi sapete cos’è successo? È successo che sono partito per il servizio militare. Due settimane, ed ecco il primo vero crollo. Era tutto nero, disperazione. Volevo solo tornare a casa, alla mia vita di stupidate sopra le righe a scuola. Non parlavo più con nessuno, avevo paura di me stesso. Avevo paura di quello che pensavo. Sentivo oppressione al petto. Ho persino chiesto di parlare con lo psicologo militare. Ma secondo me lui di andava di fretta quel giorno. “Non hai nulla, basta che ti fai qualche amico e ti passa tutto”.
Questa è la prima parte della mia storia. Quella triste. Perché poi le cose sono cambiate, sapete? Ho incontrato la Dottoressa, quando proprio stavo male male, e le ho parlato di tutto. E ho capito che, in effetti, qualcosina che non funziona c’è, dentro di me. E che ho il bisogno di tenerla sotto controllo. Perché quelli come, e non siamo pochi, viaggiamo su due poli. O troppo su, o troppo giù. E a quel punto è facile sentirsi fuori da tutto. Lontano. Prima di farsi accettare ed amare, ho capito di dover accettarmi ed amarmi io, per primo. I miei su e giù ci sono ancora. Ci saranno sempre, lo so. Così come certi pensieri un po’ strani. E non mi sento più nemmeno tanto speciale, da quando ragiono così. Adesso vedo il mondo come dalla sommità di un bel muretto costruito a secco, con le pietre. Non più un muro costruito intorno a me. Sono io a decidere se restarmene lassù, appollaiato, o provare a distendere le ali e mettere il naso al vento.
Vincitore sezione "poesia": Silvana Valente
Dicono gli illustri dottori, spendendo fior di paroloni, che percepisco la realtà e elaboro dati in maniera distorta. Dunque io un pazzo da sorvegliare, ma con il cervello più aperto del loro, capace anche di comunicare con entità quasi sconosciute. Provino loro a dimostrarmi, con quei cervelli uguali, da intellettuali, che non c’è un’anima dentro al canarino o che il cieco non rifiuti di vedere un mondo brutale. Io vivo con le finestre aperte per sentirmi “fuori” e poter volare più in alto. Il mio cuore batte a tempo di musica e nelle mie corde c’è melodia e improvvisazione. Mi nutro con la vitalità della terra e mi alimento con i semi della gioia, i fiori del creare, i frutti del sapere, svegliandomi col sole e dormendo quando mi pare. La mia donna è un sogno, è bella da impazzire. La guardo, la sfioro, le sussurro una frase. Lei diviene inafferrabile, impalpabile, evanescente e scompare dietro una nuvola che offusca il sole nascente. Io paziento, non mi arrendo, prendo la vita così come viene, cercando di capire quasi soltanto ciò che più mi conviene. Perché mai dovrei curarmi per dar da vivere ai dottori? Il mio mondo è pieno di contatti e percezioni parasensoriali. Dai, tu che mi ascolti, lascia filtrare nella vita, come un tocco di colore, un pizzico di follia. Abbandonati senza paura e non curarti del giudizio altrui, prova a entrare nel mio mondo, cos’ vediamo se il pazzo son proprio io.