Ad Ada piaceva il vino rosso, perché diceva che oltre ad essere migliore faceva bene alla circolazione sanguigna e allietava gli occhi. Lei amava giustificare con espedienti medico-estetici quelli che erano i suoi gusti. Quando andavamo a cena fuori, ordinava vino rosso indipendentemente dal cibo che sceglieva. Io la riprendevo, dicevo che il pesce richiede il bianco e la carne, il rosso, che non si poteva fare altrimenti, ma lei rideva e mi afferrava la mano facendo scivolare la sua sul tavolo: «Zuccone, ma sarò padrona di bere ciò che voglio?» ribadiva, e il suo sorriso dolcemente innocente mi annientava e azzittiva. Aveva ragione Ada. Perché non lo capivo?
Oggi è il nostro anniversario, sono al ristorante che più ami ed ho ordinato una bottiglia del tuo vino rosso preferito. Fuori piove, la pioggia tamburella sul vetro come una musica costante ed io mi sento come una qualunque foglia cadente là fuori, mortificata dal vento e dalla pioggia, incapace di potermi proteggere, fatalmente vulnerabile. Arriva il cameriere e mi chiede se sia pronto a ordinare o se stia aspettando qualcuno. Dico che può prendere le ordinazioni, che tu stai arrivando. Ordino per te il solito: sauté di cozze e vongole e risotto alla pescatora ed io scelgo la carne, del resto abbiamo preso il vino rosso, no? Quest’anno il vino è più dolce dell’anno precedente, ha in sé un che di speziato, un profumo contagioso e delicato, eppure impossibile da non cogliere, e penso a che cosa dirai quando lo assaporerai, se ti piacerà e quanto. Io credo di sì, che l’adorerai.
Finalmente arrivi. E sei bellissima. Come ti ricordavo. Ti siedi davanti a me e iniziamo a parlare. D’improvviso sparisce tutto il resto, la pioggia, il trambusto dei tavoli accanto, il via vai dei camerieri. Parliamo di noi, del futuro, del mondo, dei nostri progetti. Tu sorridi e poi resti in silenzio.
Arrivano le pietanze. Il cameriere mi versa il vino, sembra in difficoltà, mi chiede se debba tornare più tardi, dico di no. Tu continui a sorridere.
«Ti piace il vino che ho ordinato?» mi lascio scappare, curioso di conoscere la tua risposta. Afferri la mia mano come ami fare da sempre: «Zuccone, certo che mi piace, tu li conosci i miei gusti», sorridi ed io mi sciolgo, ancora, come tutte le volte.
Restiamo un po’ in silenzio, ti osservo, conosco a memoria ogni tratto del tuo viso, al punto che potrei disegnarlo ad occhi chiusi. Hai messo gli orecchini che ti ha regalato la mamma, ho sempre pensato che ci stessi benissimo. Cala la malinconia. I nostri occhi ora sono tristi.
In cucina il cuoco vedendo ritornare piatti intoccati, si preoccupa e chiede al cameriere se ci siano problemi, se il cliente in questione non gradisca la sua cucina, il cameriere abbassa il capo avvilito: «E’ quel tavolo, Chef – indica attraverso la finestrella-oblò che dà sulla sala – vengono dal tavolo laggiù, dove siede quel signore, da solo».