Intervista alla deputata Emanuela Rossini
Chi sono i care leavers?
Sono ragazze e ragazzi neomaggiorenni che escono da percorsi di affido o di comunità perché allontanati da piccoli dalla loro famiglia di origine causa gravi rischi (abusi, violenze, dipendenze dei genitori). Hanno alle spalle un’infanzia dolorosa e in comunità sono riusciti a trovare una nuova famiglia. Giunti ai 18 anni, per legge vengono considerati adulti, perdono alloggio e ogni cura e tutela. I dati ufficiali, a livello italiano, parlano di circa 3000 giovani senza una famiglia alle spalle che si trovano all’improvviso a dover badare a se stessi.
Perché oggi diventa cruciale occuparsi di questi giovani?
Pensare al dopo i 18 anni è fondamentale. Molti di loro non possono rientrare in famiglia e non sono autonomi. In Trentino sono attualmente 82, per cui si interviene con misure ad hoc (domicili autonomi o gruppi appartamento) fino ai 21 anni. Sarebbe importante mettere a sistema alcune condizioni permanenti di accompagnamento a cui non si sta facendo fronte. Oggi stiamo dialogando con la Provincia per attivare un tavolo permanente sull’età della transizione e pensare a percorsi di accompagnamento allo studio, alla formazione al lavoro, abitativo e al supporto personale. Non è assistenza, sono maggiorenni, ma sono troppo giovani e con alle spalle già un’infanzia difficile, per essere lasciati soli.
Che istanza hai intercettato?
Esprimono tutti le stesse richieste: ci chiedono di adottare un approccio globale per aiutarli, non basta dare loro una stanza o un lavoro. È l’accompagnamento, il che significa relazioni, inserimento sociale, partecipazione in reti di prossimità, e soprattutto mantenere rapporti affettivi con chi li ha accompagnati fino a 18 anni, siano essi operatori, famiglie affidatarie, coetanei in comunità, membri della famiglia di origine e cittadinanza in generale.
Che misure sarebbero utili?
Misure a due livelli: quello istituzionale, per garantire loro un servizio di assistenza legale e medica nei momenti di bisogno; poter completare il percorso scolastico; avviarsi ad una formazione al lavoro o all’università, mettendo a disposizione figure di tutor come in molti Paesi europei, e riservando una quota di borse di studio e di residenza. L’altro piano è quello della cittadinanza: stemperare pregiudizi nei loro confronti e diventare società accogliente.
A gennaio è passata una norma importante in Parlamento a tua prima firma. Di che cosa si tratta?
Per la prima volta si è stabilito che l’età della transizione va dai 18 ai 25 anni, e non più solo fino ai 21. Questo per aiutarli a costruirsi una formazione oggi richiesta dalla società, in grado di attrezzarli alla vita. Ecco perché il mio emendamento, che dovrà ora passare al Senato, stabilisce una cornice nuova in Italia, in linea con gli altri Paesi europei.
La questione è poi arrivata a Bruxelles.
Sì, a febbraio sono stata insieme alla rete europea dei care leavers, anche con giovani di Trento, a presentare le loro proposte ai parlamentari europei. È stato un bel momento costruttivo che ora porto avanti.
Cosa ti sta lasciando questo percorso?
Questi giovani mi hanno insegnato molto sui giovani in generale, perché sono motivati, forti e fragili nello stesso tempo. La loro necessità di essere autonomi li rende quasi dei maestri per altri giovani. Partendo da loro possiamo costruire politiche concrete per aiutare tutti i giovani ad entrare nella società da protagonisti.